lunedì 22 agosto 2011

Ricercatore al CERN. Lorenzo Masetti ci racconta come.

Mi chiamo Lorenzo Masetti, e sono nato nel '79, ho studiato informatica a Firenze e dal 2006 lavoro al CERN di Ginevra, il più grande laboratorio del mondo per la fisica delle particelle.


Perché hai scelto di studiare informatica?
Devo ammetterlo: per esclusione. Scartando le facoltà umanistiche, la fisica mi sembrava poco adatta per le mie scarse capacità manuali, ho sempre avuto una certa diffidenza verso l'ingegneria e la matematica mi pareva troppo astratta. Alla fine credo che sia stata una buona scelta.
Le discussioni sulle ultime schede grafiche mi annoiavano (tra software e hardware sono sempre stato più appassionato del software) e non amo particolarmente la musica metal, ma a parte questo tra gli studenti di informatica di Firenze mi sono trovato bene.
In fondo l'informatica è una forma di alto artigianato (ma guai a dirlo agli informatici teorici!), un modo di risolvere problemi concreti e che prevede anche un certo grado di creatività e dà delle soddisfazioni quando si vedono i risultati.

I motivi che ti hanno spinto a vivere all'estero?
Voglia di cambiare, il timore di finire a... programmare in Java a Scandicci (è quello che succede a molti che studiano informatica a Firenze e non vogliono viaggiare). Ma soprattutto la molla è stata un'occasione alla quale è molto difficile dire di no.

Raccontaci come sei arrivato al CERN di Ginevra?
Per caso, come succede spesso nella vita... E' successo grazie ad un professore di teoria dell'informazione e reti neurali. Tra una paginata di integrali e l'altra (ma sono tutti integrali della funzione esponenziale quindi sono facili...) raccontava del CERN e organizzò anche una visita a Ginevra. Mi ricordo che al ritorno a casa pensai “quelli che lavorano lì devono essere tutti dei geni”.
L'anno dopo ci propose di fare domanda per fare il summer student. Si tratta di un programma che il CERN utilizza in maniera intelligente per reclutare gente entusiasta. In pratica per un'estate lavori ad un piccolo progetto, ma è una vacanza pagata: conosci gente da tutto il mondo, fai amicizie, ti diverti, impari o migliori qualche lingua e torni a casa entusiasta. A quel punto vuoi a tutti i costi tornare, solo che a quel punto scatta la trappola, perché dopo il summer student devi lavorare davvero...
E così è successo anche a me. Dopo la tesi presso l'INFN ho avuto l'opportunità di lavorare al CERN con diversi tipi di contratti, l'ultimo cominciato quest'anno della durata di cinque anni.

E' stato difficile ambientarti? 
Arrivare in una città nuova è sempre difficile, in più c'era il problema della lingua (anche se il francese non è particolarmente difficile, quando sono arrivato ero ad un livello disastroso e tuttora non sono molto migliorato visto che al lavoro utilizzo soprattutto l'inglese).
Trovare un appartamento a Ginevra è difficile. I prezzi sono alti, c'è poca offerta e moltissima domanda. Tutto è gestito dalle agenzie immobiliari, dove, molto all'italiana, contano le conoscenze. Inoltre, visto che in Svizzera i salari sono molto più alti che in Italia, lo stipendio di ingresso al CERN (che è più di tre volte quello di un dottorando italiano) rimane di fascia bassa a Ginevra e questo non è certo un vantaggio al momento dell'assegnazione dell'appartamento.
La soluzione, dato che siamo vicinissimi al confine, è di vivere in Francia dove gli affitti sono un po' più bassi (grazie anche al franco svizzero forte rispetto all'euro) e si trova una casa senza eccessivi problemi.

Di cosa ti occupi?
Del software di controllo di CMS, uno dei quattro grandi esperimenti. Come sai, al CERN è in funzione l'LHC, un grande acceleratore di 27 km di circonferenza costruito sottoterra. Due fasci di protoni vengono fatti scontrare in corrispondenza di quattro grandi esperimenti (NdR: Alice, Atlas, CMS e LHCb) che misurano le proprietà delle particelle che si producono nelle collisioni.
Per fare funzionare degli apparati del genere ovviamente non basta un interruttore, bisogna controllare e monitorare milioni di parametri letti dal sistema di alimentazione, dai sensori di temperatura e umidità, eccetera. Il sistema di controllo deve riassumere tutti questi parametri in uno stato che sia facilmente comprensibile, segnalare in anticipo alcune condizioni critiche che potrebbero essere pericolose, assicurarsi che tutto sia pronto al momento giusto quando i fasci si scontrano in modo da permettere la presa dati per la fisica. Il mio capo dice che l'obiettivo è che anche una persona senza nessuna conoscenza della fisica, come ad esempio la donna delle pulizie, possa controllare CMS.
Ho cominciato occupandomi del sistema di controllo del tracciatore, cioè della parte più interna dell'esperimento, ora mi occupo dell'integrazione dei sistemi di controllo dei vari sotto-rivelatori e del sistema di controllo centrale. In pratica l'interfaccia grafica con il pulsante ON per accendere tutto l'ho fatta io...

Che tipo di esperienza si vive, lavorando con altri ricercatori che vengono da tutto il mondo?
È sicuramente un'esperienza interessante. Si parla in una strana lingua chiamata CERNglish che è una brutta copia dell'inglese che farebbe inorridire qualsiasi anglosassone (chiaramente al CERN ci sono anche inglesi e americani ma sono ormai rassegnati).
Devo dire che rispetto alla mia impressione iniziale (“sono tutti dei geni”) mi sono ricreduto. Certo, ci sono moltissime persone molto preparate e brillanti, ma come dappertutto ci sono gli incompetenti e i rompiscatole... A volte ti devi scontrare con un senso dell'umorismo diverso, in cui rimani come un cretino ad abbozzare un sorrisino mentre i tedeschi piangono dalle risate.

Come ti sei sentito quando hai scelto di partire?
Sicuramente emozionato, un po' preoccupato, ma con il tempo mi sono abituato alla mia nuova vita. Il primo impatto con Ginevra può essere poco rassicurante, se non conosci i posti giusti dove andare ti puoi trovare una domenica sera a camminare in una città deserta dove tutti i negozi chiudono prestissimo. Ma poi si impara a conoscere quali sono i quartieri un po' più animati, ad apprezzare i parchi, il lago, le montagne (qui intorno ci sono le più belle piste da sci d'Europa).

Consiglieresti mai a qualcuno di lavorare in Svizzera?
In realtà io non lavoro propriamente in Svizzera, dato che il CERN è un'organizzazione internazionale. Sicuramente gli stipendi in Svizzera sono molto più alti che in Italia, a fronte di un costo della vita che è sì più alto ma non quanto la differenza di stipendio (a mio parere non perché gli stipendi in Svizzera siano esageratamente alti, è in Italia che sono esageratamente bassi).
Certo che i soldi non sono tutto quindi preparatevi ad uno stile di vita diverso, a città in generale noiose (Ginevra non è Barcellona, e Zurigo non è Parigi), alle pubblicità delle assicurazioni dappertutto, ad un paese neutrale ma armato fino ai denti dove per legge ogni casa deve avere un rifugio antiatomico... Preparatevi ai discorsi tipo “in questi tempi di crisi bisogna trasmettere ai giovani certi valori fondamentali, come ad esempio il segreto bancario”, alla chiusura mentale e al razzismo degli abitanti della Svizzera profonda che votano l'UDC svizzero, un partito di estrema destra e xenofobo che conduce una martellante campagna isolazionista. Con questo non voglio certo generalizzare. In Svizzera come in tutto il mondo vivono anche delle persone meravigliose ed altruiste che vi accoglieranno con un sorriso sincero.

Pro e contro in confronto al settore di ricerca italiano?
Il CERN è, almeno per ora, un'isola felice in confronto allo stato disastroso della ricerca in Italia. Ai ricercatori vengono offerte condizioni di lavoro più che dignitose, non il precariato infinito o la schiavitù con la promessa incerta di un posto domani. Tuttavia la ricerca in fisica vera e propria viene svolta in minima parte da chi ha un contratto al CERN ed è affidata ai dipendenti degli istituiti degli stati membri. In questo senso il CERN svolge più il ruolo di fornitore di servizi ai ricercatori. Per questo anche il CERN soffre degli stessi problemi della ricerca italiana, spagnola ed in generale europea: mancanza di fondi, fuga dei cervelli, scarsa volontà di investire nella ricerca fondamentale.

Torneresti in Italia?
L'idea è di tornare tra cinque anni, quando finirà il mio contratto e mia figlia sarà pronta per andare alle elementari. Così potrà andare a scuola in Italia, sempre che nel frattempo la Gelmini non abbia eliminato la scuola primaria, perché poco finalizzata all'inserimento nel mondo del lavoro...
Vorrei anche cercare di evitare scene del tipo “Cosa vuoi fare da grande, bambina?” “Il banchiere!”. Ma in realtà è ancora tutto da decidere.

Secondo te e' vero che, una volta all'estero, quando poi si ritorna, si aprono molteplici opportunità per l'Italia?

Molteplici opportunità... credo di no, ma è vero che un esperienza all'estero può essere fondamentale non tanto per il curriculum quanto per la crescita personale.

Dove pensi di essere da qui a 20 anni?
Per fortuna non ne ho idea. Mi piacerebbe dire “non tutto il giorno davanti allo schermo di un computer”, ma temo che invece sarà così...

mercoledì 17 agosto 2011

Tornando dall'talia.

Ciao a tutti ed eccomi di nuovo a voi. Dopo una lunga assenza da questo blog, ritorno da 2 settimane di vacanze fresco, riposato e soprattutto abbronzato.


Porto con me parecchie novità. Alcune riguardanti nuovi articoli che spero potranno essere di vostro interesse, ed altre relative alla mia vita privata. Inoltre progetto di seguire un nuovo blog, ma non sarò io a scrivere gli articoli. Narrerà di una ragazza laureata in Psicologia che ha vissuto per un po' a Londra, e che proverà a dimostrarci che anche a Roma ce la si può fare. Siete pessimisti? Provate invece ad incoraggiarla, io lo sto facendo con tutto il cuore.

Ho ricevuto mail di molte persone e mi scuso se non ho avuto tempo di rispondere a tutti. Tra questi c'è chi si sta trasferendo a Londra con già un contratto di lavoro per le mani. A tutti voi do un in bocca al lupo, mentre a quelli che ancora tentennano dico di prendere esempio da loro. Coraggio!!!

Inoltre vorrei organizzare un meet up qui a Londra, provando a coinvolgere diversi gruppi (Informatico Migratore, Italiansinfuga, Goodbye Mamma, e cosi via). Spero a Settembre, quindi se siete nei paraggi possiamo metterci d'accordo per la data.

Fatemi sapere.

lunedì 1 agosto 2011

Ho avuto un'idea! Ecco come realizzarla secondo Matteo Danieli.

Se si ha un'idea, presto o tardi la si dimenticherà. Provate invece a rischiare, come hanno fatto Matteo Danieli ed i suoi amici, portando la loro idea all'attenzione di investitori.


 Per realizzare la propria idea e' importante:
  1. Tirare fuori quell'idea dal cassetto per darle una possibilità prima che le congiunture della vita la rendano impossibile.
  2. Non rassegnarsi al primo "No", perseverare e, soprattutto, trovare investitori che siano allineati ed ugualmente ambiziosi.
  3. Costruirsi un network di contatti con cui arrivare ai nomi giusti. Il mondo della web entrepreneurship è più piccolo di quanto non sembri, e specialmente se una persona già ha contatti in ambito IT non è così difficile trovare quella sequenza di un paio di persone che fanno arrivare all'investitore giusto.
Ciao Matteo e grazie per la tua testimonianza. Prima di tutto raccontaci un po' di te.

Classe 1984, nato a Sossano, piccolo paese della profonda provincia vicentina. Ho sempre avuto fin da piccolo la passione per i computer, passatami da mio zio, il quale all'inizio degli anni '80 fondò una società che vendeva i primi Apple Macintosh. I miei primi passi informatici li mossi in compagnia di un Macintosh Classic. A 14 anni i miei genitori mi misero di fronte alla scelta tra un PC nuovo e un motorino; io scelsi il primo. Al triennio scelsi di studiare Ingegneria dell'Informazione. Si trattava di un corso di laurea generalista che garantiva accesso a tutte le lauree specialistiche nel settore dell'informazione. La vera scelta l'ho compiuta alla fine di quel percorso di studi, quando scelsi appunto di studiare telecomunicazioni. Il motivo di quella scelta fu la considerazione che le telecomunicazioni stanno rivoluzionando il modo in cui la gente interagisce e fa affari in maniera più tangibile, concreta, vicina al quotidiano di qualsiasi altra tecnologia. Quindi mi sarebbe piaciuto lavorare in quel settore.

Come ha avuto inizio l'avventura?

Più o meno due anni fa ho iniziato un dottorato di ricerca al DTU in Danimarca. In tutta onestà non sono mai stato convinto del fatto che un PhD fosse il percorso più adatto a me però, in un momento in cui trovare lavoro era particolarmente difficile a causa della crisi, mi sembrava da incoscienti rinunciare ad un posto di lavoro sicuro e (almeno qui in Danimarca) ben retribuito. Dopo un po' il divario tra le mie ambizioni e i miei interessi e il dottorato che svolgevo ha iniziato a diventare sempre più insostenibile, tanto che io e i miei coinquilini italiani, anch'essi ingegneri, abbiamo cominciato a pensare ad un'idea per un servizio innovativo da sviluppare noi stessi su cui avremmo potuto metterci a lavorare.

Fu così che ci venne in mente l'idea fondante di Evertale.


All'inizio Evertale era un'idea ambiziosa al cui sviluppo lavoravamo nei week end. Dato che nessuno di noi aveva esperienza di programmazione per mobile o web, l'idea era di trovare dei finanziamenti con cui sviluppare un prototipo e poi cercare un nuovo round quando il concetto fosse stato provato.

E' stato facile trovare degli investitori?

Dopo una buona dose di porte sbattute in faccia e di investitori o sedicenti tali che insistevano sul fatto che un prototipo era necessario per essere più credibili, ho deciso di andare "full in" nel progetto e di mettere in pausa il PhD, di imparare programmazione su Android e di vedere cosa sarebbe successo. Grazie a una buona dose di perseveranza, ambizione, e le persone giuste nella nostra network siamo entrati in contatto con Mangrove capital partners, un'azienda di investimenti in ambito web che deve il suo successo al fatto di aver investito in Skype ancora ai suoi albori. Nonostante avessimo in mano soltanto un approssimativo prototipo dell'applicazione mobile, a Mangrove hanno deciso di scommettere sul nostro entusiasmo e la nostra visione ambiziosa.

Una volta trovato un investitore, qual e' il passo successivo?

Ora, grazie al loro finanziamento, abbiamo aperto un'azienda e assunto sviluppatori. Personalmente mi occupo dello sviluppo dell'applicazione e di algoritmi di processing per la visualizzazione dei dati sull'interfaccia, e dell'interazione tra i vari pezzi del sistema tra di loro, quindi sto imparando un po' di tecnologie e linguaggi diversi tra cui Python, Java, JavaScript, ma mi considero un programmatore dilettante.

In ogni caso sono contentissimo dell'esperienza che mi ritrovo a vivere, e sono amaramente consapevole del fatto che se fossi rimasto in Italia avrei difficilmente trovato il modo di realizzare questo sogno, visto che la mentalità imprenditoriale non è diffusa e promossa come lo è qui, specialmente in ambito giovanile.

Che consigli daresti a chi intende seguire le tue orme?

Innanzitutto voglio invitare qualsiasi persona che abbia la classica idea nel cassetto a non fare l'errore di tenerla da parte per un futuro lontano ed eventuale. Per quanto sembri banale, con una buona dose di ambizione, talento e la determinazione necessaria a non lasciarsi abbattere dagli inevitabili "No" che si incontreranno per la strada, si può davvero arrivare ovunque.

Secondo me il classico filo logico di una persona che ha una buona idea ma la lascia ammuffire è il seguente: "Ci sono così tante persone ambiziose e intelligenti là fuori, che riuscire ad attirare l'interesse di investitori ha approssimativamente le stesse probabilità di vincere alla lotteria".

Secondo me il vizio di fondo di questo ragionamento è dato dal fatto che in realtà solo una piccola percentuale di queste persone agisce, mentre la maggior parte si autocensura bollando i propri sogni come pie illusioni. Finisce quindi che le uniche persone che "pitchano" la loro idea sono gli insider, quelli che già fanno parte del giro giusto, che già hanno importanti VC nella loro network, e per cui un'idea è solo un pretesto per riuscire ad accedere ad un finanziamento e giocare a fare gli imprenditori, mentre i veri talenti rinunciano a provarci.

Cosa fare per riuscire a trovare degli investitori?

Una cosa molto importante da tener presente è che gli investitori non sono tutti uguali.

Primo: si parla spesso della necessità, quando si cerca un finanziamento, di trovare "smart money", cioè investitori che non solo ci mettono i soldi, ma anche competenze, entusiasmo e una network che può dare un aiuto formidabile alla promozione del business in cui investono. Alcuni sostengono che i soldi sono sempre soldi indipendentemente da dove provengano, ma per mia esperienza, il fatto di ricevere un finanziamento da investitori ben inseriti e conosciuti ha vantaggi molteplici, sia in termini dell'esperienza che possono investire nell'organizzazione della startup, sia in termini della esposizione che viene dal fatto che si venga a sapere un dato VC ha investito in te.

Secondo:  i "No" che si incontreranno sulla strada non hanno un valore oggettivo e irrefutabile. Qualsiasi investitore valuta un'idea secondo i propri criteri soggettivi, ma per il fatto di avere il coltello dalla parte del manico si permetterà di esprimersi con toni paternalistici e di criticare pesantemente un'idea in cui non creda avendo la presunzione di pensare che qualsiasi altro investitore sarebbe allineato col suo punto di vista.

Quest'ultimo si ricollega al nostro primo incontro con un team di investitori. All'epoca non avevamo un prototipo di Evertale, ma solo un'idea ambiziosa e CV impeccabili. Quando si sono sentiti dire che non avevamo nulla da mostrare e che parte dei soldi che richiedevamo come investimento sarebbero andati (com'è giusto che sia, non potendo noi contare su altri introiti), per pagare uno stipendio di sopravvivenza ai fondatori, ci sbatterono la porta in faccia dicendo che con quelle pretese non saremmo mai andati da nessuna parte.

I nostri attuali finanziatori hanno un approccio molto diverso alla ricerca di idee in cui investire. A loro piace che le idee in cui investono siano visionarie, ambiziose e game-changing, e possono chiudere un occhio se il business model non è ancora provato, o addirittura se il prodotto ancora non esiste.

In ultima analisi è importantissimo trovare la giusta alchimia e il giusto allineamento. Ci saranno sempre investitori in cerca del facile profitto nel breve termine, e altri che invece accettano di sapere che 9 delle 10 startup in cui investono falliranno, sapendo che la decima diventerà il nuovo Facebook.

E voi, avete appena avuto un'idea?