venerdì 11 marzo 2011

Emigrare all’estero. Come sopravvivere allo shock culturale

Il maggior ostacolo da superare quando si decide di emigrare all'estero, non e' ne la ricerca di un lavoro, ne trovare un posto dove stare, ne tanto meno dover imparare la lingua del luogo ospitante.


Nel 1958, l'antropologo Kalervo Oberg osservo’ per la prima volta che lo shock culturale non avviene come una serie di eventi casuali, ma questa condizione evolve in una serie di cinque fasi.

Difatti fu' proprio Oberg ha coniare per primo il termine shock culturale, affermando che tale shock e' causato dalla "ansia che deriva dalla perdita di tutti i nostri segni familiari e simboli dei rapporti sociali", mentre si vive e si lavora in un ambiente straniero alla nostra cultura.

"Quando un individuo entra a far parte di una cultura straniera", scrisse Oberg, "tutti o la maggior parte di questi segnali familiari sono stati rimossi. La persona si sente come un pesce fuor d'acqua. Non importa quanto sia di larghe vedute o pieno di buona volontà, una serie di sostegni vitali per il suo equilibrio cederanno rapidamente sotto ai suoi piedi".

Si definisce quindi shock culturale la sensazione iniziale che si fa fronte nei primi periodi di vita all'estero, e prevede cinque fasi distinte che bisogna attraversare prima di potersi sentire sufficientemente ambientati.


Fase 1: la luna di miele. I primi mesi di vita all'estero sono per cosi' dire un periodo di luna di miele in cui tutto è nuovo, emozionante ed affascinante. Tutto sembra accadere come in un sogno, contenti di aver scelto di cambiare vita andando a vivere all'estero. Ma come tutti sanno, nessun viaggio di nozze dura per sempre.

Fase 2: il rifiuto. Tutta l’eccitazione iniziale poco a poco si esaurisce cosi’ come le nuove eccitanti ed affascinanti esperienze. Si torna con i piedi per terra e si inizia ad affrontare la routine di tutti i giorni.

Improvvisamente si inizia a scoprire che il modo di fare le cose in quel luogo, anche in modo professionale, non coincido al proprio. I negozi non sono aperti quando se ne ha bisogno, o magari non si trova quello che si sta cercando. Il tempo libero è frustrante, perché ogni svago deve essere svolto usando un'altra lingua. Non ci sono i luoghi affezionati dove andarsi a distrarre, inizi a provare un senso di noia nello spendere giornate con persone che non puoi capire del tutto.

Iniziano cosi' ad aumentare le difficoltà nell'adattamento, convincendosi che nessuno e' d'aiuto nel superare questo tipo di stress. Addirittura ci si convince sempre più che le persone non siano in grado di capire questo malessere, o che ne siano in alcun modo interessate.

Questo a sua volta innesca quell'emozione che è uno dei sintomi più certi dello shock culturale, ovvero l'ostilità al nuovo ambiente. Si comincia cosi' ad odiare il paese ospitante e tutto ciò che si lega ad esso.

Fase 3: la regressione. Una volta che ci si avvia a respingere la cultura ospitante, è molto più difficile tornare sui proprio passi. Si può decidere di provare un nuovo approccio, con un bel sorriso sul proprio viso sforzandosi di cambiare il proprio atteggiamento. Oppure si sceglie di percorre un'altra strada, più semplice, che purtroppo percorrono in molti in questi casi. Si sceglie la chiusura in se stessi.

In quest'ultimo caso, i segni del fallimento nella nuova versione di se stessi in ambiente straniero sono abbastanza chiari: il rifiuto di continuare ad imparare la lingua locale, di fare amicizia con la gente del posto, o di fare qualsiasi attività che possa portare maggiore interesse verso la cultura locale. Seguendo questo percorso, l'individuo tende sempre più ad isolarsi ed a far crescere dentro si se il senso di antagonismo nei confronti della gente del luogo. Si andrà alla ricerca di simili, che nutrono le stesse sensazioni per poter attaccare la cultura locale, senza rendersi conte che il problema potrebbe risiedere da un'altra parte.

Con il passare del tempo, si e’ sempre più di fronte ad un bivio: scegliere di restare o ritornare in patria?

Fase 4: l'accettazione. Se si supera la fase 3, e quindi si sceglie di restare, la strada per il superamento dello shock culturale tende ad essere in genere più agevole.

Una volta superata questa fase, ci si ritroverà a sorridere o ridere di alcune delle cose che hanno causato tanto dolore in partenza. Quando questo accade, si e’ sulla strada dell'accettazione. Quando ci si inizia ad ambientare verso la cultura, la lingua ed i costumi locali, l'autostima e la fiducia ritorneranno. L’affetto per la nuova casa passera’ da accettazione riluttante ad affetto genuino. Si potrà finalmente capire che non è tutta una questione di "li' e’ peggio o meglio di qui".
Ci sono diversi modi di vivere la proprio vita e nessun modo è davvero meglio di un altro. E' solo diversa da come la si viveva prima.

Fase 5: Il rientro. Quando il periodo all’estero sta per concludersi, si inizia a pensare come sarà bello ritornare in un ambiente familiare, nuovamente tra amici e parenti e tutte le attività che si amavano fare.

Bisogna pero' sottolineare il fatto che i primi tempi si era costretti a vivere in un posto a proprio dire inospitale, che poi lentamente si e’ iniziato ad amare, probabilmente affrontando le proprie convinzioni di lunga data e di atteggiamenti che gradualmente sono stati via via sostituiti a dei nuovi valori e ideali.

Proprio per quello che si e' appresso durante tutto quel periodo di assenza, le nuove abitudini, il nuovo stile di vita, l'aver accettato la nuova versione di se in un paese straniero, porta nuovamente a delle difficoltà nel far ritorno alla vecchia casa.

Ci vorrà un po' per riprendersi con la cultura di origine, ed e’ bene concedersi un po’ di tempo per riadeguarsi nuovamente al vecchio ambiente, prima di ritornare alla vita di sempre.

Ma questa volta sarà possibile ridurre al minimo lo shock del rientro, ma solo se si avrà coscienza delle proprie reazioni e, soprattutto, prendendo le cose con un atteggiamento più positivo.


A questo punto e’ lecito chiedersi: voglio andare all'estero, ma e' possibile evitare tutto questo shock? La risposta e' no!

A meno che non ci sia stata un’esperienza precedente a questa, anche in senso negativo, non c’e' un modo per prevenirsi ad un cambiamento, che comunque porterà ad una migliore comprensione di se. Quindi tanto vale accoglierla in senso positivo.

Ma allora come si può superare? Basta imparare a riconoscere questi segnali dentro di se. Mentre non si può impedire il verificarsi di uno shock culturale, è possibile adottare misure per ridurre e mitigare i suoi effetti. La gente spesso associa lo shock culturale con frustrazione, irritazione, stanchezza, ansia e depressione, con la tendenza ad isolarsi per sfuggirne agli effetti.

Quindi cercate di dare ascolto al vostro Informatico Migratore, e fate come vi dico.

Andate con il flusso! L’auto-consapevolezza è la strategia migliore per superare lo shock culturale.

L'ignoranza non porta alla beatitudine. Lo shock culturale arriva sempre, che vi piaccia o no. Probabilmente c'e' chi lo supera in un istante, chi invece ci mette un po'. Ma niente dura per sempre, quindi fatevi coraggio!

Non date la colpa agli altri! Quando si e’ giù ed in difficoltà, siate consapevoli che il problema probabilmente e’ dato da un malessere interiore, piuttosto che da una fattore esterno.

Imposta un obiettivo e seguilo! Più occupati si è, meno tempo si ha per pensare a quanto ci si sente tristi. Cercare di organizzare qualcosa di piacevole per guardare al futuro puo’ essere un buon modo per superare lo shock. Fissare degli obiettivi, come ad esempio farsi degli amici, può essere un rimedio all’isolamento.

Quando sei a Roma, fai come fanno i romani! Adattare il proprio stile ai costumi locali può essere dura all’inizio, ma a lungo andare porterà a dei benefici. Evitare un atteggiamento difensivo e cercare di integrarsi il più possibile possono essere un buon rimedio.

Non cercare il meglio dei due mondi! Il miglior modo per superare il proprio shock culturale è capire che non è una questione di cultura. A volte e' più facile non volersi più sentire stranieri una volta messo piede all'estero, bisogna invece imparare a non rifiutare completamente la propria cultura, né quella locale.

Prima si raggiunge la comprensione delle diversità delle frontiere culturali, più facile sarà godersi la ricchezza del meglio di due mondi.


5 commenti:

andima ha detto...

Bel post Stefano!
Mi ha ricordato a tratti un famoso post tra i bloggers dublinesi, qui.

Quando mi son trasferito a Dublino anche io ho vissuto quelle fasi e non è facile reagire nel modo giusto alle varie emozioni. Ci vuole flessibilità, coscienza delle cose, riflessione, voglia di capire. Non è facile e non lo è stato.
Quando poi dopo un anno e mezzo in Irlanda mi son trasferito a Bruxelles è stato molto più facile: avevo imparato la lezione! Avevo un'esperienza che mi aiutava a capire meglio le cose, non affrettarmi nelle conclusioni, studiare la cultura del posto, non abbandonarmi al facile lamento, non cercare l'oro altrove e pensare solo al cattivo delle origini, etc.
Ma un'esperienza all'estero è così, è un viaggio negli altri ma anche e soprattutto dentro se stessi, conoscersi meglio e capire come si reazioni a stimoli differenti, a mondi altrui, e di conseguenza cambiare, sperando sempre di migliorare.

Luce StRagista ha detto...

Molto interessante il tuo post! Credo potrà essere utile anche per gli stagisti che desiderano emigrare all'estero!

Unknown ha detto...

Bel pezzo ;)

Anonimo ha detto...

bel post, ma non lo condivido in termini assoluti. Mia madre ha sette fratelli emigrati tutti nel dopo guerra tra stati uniti e australia ... mai più tornati, sono passati 58 anni e non sono mai rientrati eccetto una paio per delle vacanze
... non mi sembrano siano rimasti molto traumatizzati
e tanti saluti

Elisa ha detto...

Mia sorella è in partenza per il Canada. Non è proprio dietro l'angolo e di conseguenza teme l'effetto dello shock culturale. Spero riesca a resistere, non vorrei mai che poi si pentisse di un rientro anticipato.

Bel post!