Mi chiamo Renato Golia, sono nato a Napoli dove ho studiato Ingegneria Informatica presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università Federico II di Napoli. Con il senno di poi, non mi vergogno di dire che ero uno di quei "bamboccioni" che vivevano a casa con la madre e, per sgravare le uscite fine settimanali dal conto familiare cercava di raccattare qualche soldo con vari lavoretti, per lo più vendita ed assistenza tecnica di PC e realizzazione di siti web.
Perché hai studiato informatica?
L’informatica é stata la mia passione sin da quando ero piccolo. Mio padre mi ha avvicinato alla programmazione che avevo 10 anni e da allora il mondo dei computer mi ha sempre appassionato a 360 gradi: dalla programmazione all’hardware passando per i videogiochi, all’epoca rigorosamente per PC. Posso dire che questa passione é sempre stato il motore fondamentale delle mie scelte. Alle superiori, nonostante stessi frequentando la Scuola Militare “Nunziatella” che mi avrebbe permesso un accesso facilitato alla carriera militare da Ufficiale, rifiutai tale percorso semplicemente perché le Accademie non offrivano un percorso di studi riguardante l’informatica sufficientemente interessante. Di fatto all’epoca la scelta era tra Scienze Informatiche ed Ingegneria Informatica. Perché la seconda? Un po’ il papà ingegnere ha aiutato, un po’ Ingegneria ha sempre offerto una stabilità lavorativa che non ha pari nelle altre facoltà.
Quali sono state la ragioni che ti hanno spinto a vivere all'estero?
Un po’ per esperienza personale accumulata tra colloqui di lavoro con personaggi che definire particolari é un complimento, un po’ per i racconti di amici che già erano approdati al mondo del lavoro, sapevo che il panorama informatico italiano non é dei migliori. Soprattutto se si considera la gerontocrazia di fondo tipicamente italiana e la legislazione del mondo del lavoro che di certo non tutela i ragazzi che si affacciano al mondo del lavoro.
Come ti sei sentito quando hai scelto di partire?
Ricordo bene il giorno in cui decisi che, prima o poi, avrei lasciato Napoli. In quei tempi si era nel bel mezzo della prima crisi dei rifiuti. Il giardinetto vicino casa era totalmente ricoperto di sacchetti di spazzatura, al punto che una macchina ne era sommersa completamente. La sera prima ero sceso a fare una passeggiata con il cane e qualcuno aveva dato fuoco ad un altro cumulo nei pressi e con esso il cassonetto. Dire che l’aria era tossica é un eufemismo. La mattina dopo mi svegliai con un senso di angoscia per il presente e per il futuro, e la prima cosa che feci fu cercare lavoro a Stoccolma su internet. I miei genitori mi hanno sempre appoggiato, forse perché vedevano lo sfacelo in cui Napoli stava lentamente ma inesorabilmente crollando e perché sapevano che l’Italia non é più un posto adatto ad un ragazzo che vuole crescere come individuo.
La mia ragazza meno. E non a torto, direi. Dopotutto emigrare significa sostanzialmente tagliare con la propria vita presente e passata per iniziarne una nuova. E lei, mio malgrado, faceva parte di quella vita che mi stavo impegnando a tagliare.
Certo l’idea di abbandonare la propria città a sé stessa ed al suo destino e con essa tutto ciò che mi é stato caro per 25 anni é stata ed é tuttora difficile da sopportare. Da un lato le accuse di egoismo che ho ricevuto da alcuni conoscenti per la mia partenza mi hanno ferito, ma la consapevolezza che il Romanticismo ai giorni nostri difficilmente paga, mi hanno portato a stringere i denti ed ad andare avanti per la strada che avevo scelto.
Come sei arrivato in Svezia?
Premesso che la domanda corretta é “come sei arrivato a Stoccolma?” perché il mio obiettivo é sempre stato questa città. Posizioni al di fuori di questa città non sono mai state neanche prese in considerazione. C’é da dire che io sono arrivato a Stoccolma senza avere un lavoro. Avevo un certo budget ed una scadenza. Se riuscivo bene, altrimenti si tornava in Italia e la favola sarebbe finita lì. Evidentemente mi é andata bene ;) Per il lavoro mi sono affidato a
Monster.se dall’Italia e, una volta approdato a Stoccolma, al sito del collocamento svedese. Confesso che ero già pronto all’idea di trovare un lavoro come lavapiatti in qualche ristorante italiano, un po’ stile emigrato anni ’50. La fortuna é che la compagnia dove lavoro ora ha visto in me delle potenzialità ed ha valutato tali potenzialità maggiori delle difficoltà iniziali dovute all’introdurre l’inglese in un ambiente di lavoro prettamente svedese fino a quel momento.
Che tipo di difficoltà hai incontrato durante questo tuo periodo?
Credo che la difficoltà maggiore sia di carattere comunicativo. Sebbene gli svedesi conoscano mediamente bene l’inglese la loro lingua madre resta lo svedese: ciò significa che in un gruppo a prevalenza svedese si parli prevalentemente svedese. Cosa perfettamente legittima sia chiaro, ma per uno straniero può essere disarmante, soprattutto i primi tempi. Al contrario le istituzioni fanno di tutto per metterti a tuo agio. Gran parte dei siti governativi hanno una pagina in inglese e c’é sempre qualcuno disponibile a parlare in inglese per risolvere i tuoi problemi.
Come hai fatto per trovare un alloggio?
Per la casa, confesso di essere stato fortunato, lasciai un annuncio su un giornale online ed il proprietario della casa dove sono stato per un anno mi contattò e ci si accordò. Oddio, con il senno di poi avrei potuto cercare un po’ meglio, vivere per un anno in una stanza di circa 10 metri quadri non é semplice. Quando dopo un anno avevo raggiunto un contratto di lavoro sufficientemente solido, contratto a tempo indeterminato, con i sei mesi di prova già effettuati, ho deciso di comprare casa. Con un aiuto della famiglia ed i suggerimenti di colleghi, ci sono riuscito.
Adesso di cosa ti occupi?
Al momento ricopro il ruolo di Software Architect dell’azienda per cui lavoro e sono responsabile di esplorare nuove tecnologie che via via si affacciano nel dinamico mondo dello sviluppo software, della progettazione di soluzioni per i problemi più avanzati ed, in generale, mi preoccupo di aiutare il resto del gruppo fornendo loro tools che possono usare nel loro lavoro di tutti i giorni. A lavoro usiamo praticamente solo tecnologie Microsoft, dal Framework .NET, a Windows Server ed SQL Server 2008. Da circa un anno abbiamo dismesso l’infrastruttura IT che avevamo in housing presso un provider locale per spostare tutti i nostri server su Amazon EC2. Per essere più precisi, l’azienda si muove nel mercato della formazione mettendo in contatto studenti ed università o, nel caso del segmento professionale, aziende di formazione ed i loro clienti. Al momento sto guidando un grosso progetto che prevede la realizzazione di una versione totalmente rinnovata dell’infrastruttura software che, da qui a 5 mesi, interromperà la piattaforma attuale che, nonostante vari restyling é praticamente la stessa da 8 anni a questa parte essendo nata dalla migrazione ad ASN.Net da Classic ASP. Il progetto attuale prevede l’utilizzo stabile di tecnologie moderne quali Entity Framework 4.1, TPL ed MVC3 anche attraverso una distinzione formale dei diversi strati e, laddove possibile, l’utilizzo di un’architettura più service oriented, soprattutto per quanto riguarda il back end della piattaforma.
Quali sono stati i pro e i contro del tuo paese ospitante con l'Italia?
In entrambi i casi dico “i ritmi”. La vita svedese é nel suo complesso più rilassata. La mattina non si deve lottare con il traffico per andare a lavoro, con la metropolitana, escluse cause di forza maggiore, ci puoi regolare l’orologio e quando perdo un autobus é perché l’autista parte in anticipo (cosa odiosa -.-). Allo stesso modo il ritmo della vita stoccolmese é qualcosa che mi fa mancare l’Italia e soprattutto Napoli. Da noi, la sera si esce verso le 11 e si va a ballare verso l’una di notte, i pub cucinano e restano aperti per quasi tutta la notte. Qui invece i pub/bar chiudono all’una, il 75% delle discoteche chiude alle tre, ed il resto alle cinque. Poi tutti a casa. In poche parole la vita stoccolmese ha un ritmo più lento che vede nei suoi pro la mancanza di stress ma, allo stesso modo, alla lunga può risultare noiosa. Spero di aver reso l’idea. Poi vabbé, una cosa che veramente non sopporto é il fatto che i negozi chiudano presto forzandoti ad uscire prima dall’ufficio qualora si volesse fare un po’ di spesa al di là delle cibarie. Personalmente la trovo una cosa inaccettabile per una città che si presenta come la capitale della Scandinavia.
Pro e contro in confronto al settore IT italiano?
Credo che il principale lato positivo é che in Svezia non c’é la stessa corsa alla laurea che abbiamo in Italia. Questo vuol dire che il proprio titolo di studio, soprattutto se supportato da una buona base di capacità personali, rende di piú. In compenso, data l’enorme popolarità di corsi brevi professionalizzanti in sostituzione della laurea, ci si trova spesso a lavorare con persone che sono perfettamente capaci di
lavorare con quello specifico strumento (tipo: C# con ASP.NET) ma che vanno nel panico quando chiedi loro di pensare “out of the box”.
Più in generale credo che la Svezia dia molte possibilità a giovani startup: i proprietari della mia azienda hanno da poco compiuto 30 anni, e non credo sia un caso che realtà come Spotify e Skype siano nate in Svezia.
Consiglieresti mai a qualcuno di lavorare in Svezia?
Complessivamente sì, il lavoratore qui é tutelato prima che dai sindacati, dalla mentalità delle persone. Forse sono stato io ad essere stato fortunato, ma sono sempre stato conscio della possibilità di poter essere raggirato per la mia mancanza di conoscenza del sistema lavorativo in cui mi ero andato a calare nonostante le tutele che l’essere un cittadino della Comunità Europea mi dava.
Torneresti a lavorare in Italia?
Non credo che tornerei in Italia per lavorare. Forse solo un giorno per godermi la pensione. Perché? Per sentirmi a casa. Uno tra tanti, senza essere costretto a lottare ogni giorno, contro l’implicita barriera che divide due culture diverse. Alla lunga sono le piccole cose che ti mancano: il salumiere che ti saluta quando entri, il bar sotto casa o quello sotto l’ufficio, lo stare seduto in metro ed apprezzare quello che si dicono i tuoi vicini senza dover preoccuparti di tradurre.
Come vedono i datori di lavori italiani i giovani che lavorano all'estero?
Ho ricevuto qualche chiamata dall’Italia per qualche offerta di lavoro, ma i contatti si sono interrotti quando hanno saputo le responsabilità che ricopro al momento e, soprattutto, lo stipendio che percepisco. C’é da dire che al momento ricopro un ruolo che difficilmente viene assegnato a chi ha solo tre anni di esperienza lavorativa a curriculum (purtroppo i tanti siti fatti in nero non contano) quando normalmente si viene considerati un Senior Developer dopo 5 anni di esperienza lavorativa accertata.
Dove immagini il tuo futuro, a Stoccolma o da un'altra parte?
Sicuramente non in Italia, se non durante le vacanze estive. Stoccolma? Forse. Quando mi viene fatta questa domanda rispondo sempre che una volta fatto il primo passo fuori casa, il secondo viene naturale. Io il mio primo passo l’ho già fatto e finora non c’é nulla che mi leghi qui se non una casa di proprietà ed il piacere di vivere in una città che mi piace. Qualora dovesse arrivare una chiamata da una delle due società per cui intimamente sogno di lavorare, sebbene mi dispiacerebbe lasciare il Vecchio Continente, non credo che mi farei tanti scrupoli. Certo una famiglia cambia tutte le carte in tavola, ma per ora il problema non si pone. ;)